RAID GAZA!

Raid Gaza! è un gioco semplice e diretto perchè, a volte, per interpretare gli eventi non servono particolari sofisticherie e relativismi. Ora più che mai appare chiaro che Israele non ha alcun interesse a perseguire una soluzione pacifica al conflitto Israelo-Palestinese. In fondo chi mai accetterebbe compromessi con una potenza militare senza paragoni, il supporto incondizionato degli USA ed un'economia che marcia su tecnologie militari e sicurezza?
Questo semplice non-dilemma è alla base del gioco online. Raid Gaza! rappresenta alla perfezione l'asimmetria del conflitto in corso, solletica le pulsioni militariste del giocatore e lo spinge ad interrogarsi sulle sue azioni. E' davvero così divertente sparare a dei pesci in fondo un barile?

Nel 2007 sono stati pubblicati due importanti giochi sul conflitto israelo-palestinese. Entrambi hanno dimostrato il livello di complessità che i giochi possono raggiungere quando cercano di parlare di attualità.

Peacemaker, di produzione israelo-americana, è una simulazione diplomatica. Il giocatore sceglie da che parte schierarsi e deve prendere decisioni che vanno dalle azioni militari agli aiuti per raggiungere una soluzione pacifica del conflitto (la tanto agognata opzione dei due stati). Si tratta di un gioco difficile e per certi versi frustante se si hanno opinioni troppo radicali. Impersonando il primo ministro israeliano non sarà possibile accogliere appieno le richieste dei palestinesi senza causare un'insurrezione dei paranoici e terrorizzati cittadini. Allo stesso modo se si cerca una drastica soluzione militare il gioco finisce in pochi turni. Dalla parte dei palestinesi è ancora peggio, la mancanza di fondi rende impossibile qualsiasi sostanziale riforma e le uniche opzioni militari sono di polizia interna (arresta i militanti).
Ci si rende presto conto che la retta via è quella della moderazione, trattare col nemico (o se si è Israele bastonarlo ma non troppo) e tenere a bada gli estremismi interni.


Interessante notare come nel gioco Hamas non sia un'organizzazione eletta a maggioranza ma sia essenzialmente una forza "esterna", separata sia visualmente che a livello di algoritmo dalla società civile palestinese. Questo e tanti altri dettagli sottili fanno di Peacemaker una rappresentazione abbastanza conforme alla propaganda pro-israeliana moderata: la pace può essere raggiunta solo se l'autorità Palestinese rimuove i terroristi che scorrazzano liberi nella striscia di Gaza e nella West Bank e se Israele accetta qualche piccolo compromesso.
Ad intorbidire ulteriormente le acque c'è una profusione di filmatini di repertorio che accompagnano gli eventi. Scatta l'attacco terroristico ed ecco che si vede il sangue vero sulle strade. Poco conta che l'originale documento sia fatto a pezzi, decontestualizzato e messo ad abbellire un modello matematico concepito da un ex-militare isreaeliano. E' questa ossessione per il realismo (che traspare anche dalla presentazione del prodotto con tanto di consulenti ed "esperti" di medio oriente) il principale problema di Peacemaker. Un gruppo di game designer propone una ricetta per la risoluzione del conflitto e lo presenta come realtà giocabile, con la posa fredda e obbiettiva dei giornalisti televisivi.
Inutile dire che Peacemaker è piaciuto immensamente alla stampa statunitense. Dal New York Times (che in questi giorni tiene fissi in prima pagina i petardi di Hamas) a Fox News, tutti hanno salutato con favore il gioco che insegna ai bambini a fare la pace - e mica la guerra.


Global Conflict: Palestine non ha avuto la stessa fortuna nonostante l'altissimo livello di qualità. Di produzione danese, si presenta come un prodotto educativo destinato ad integrare materiale di studio più tradizionale. Anche qui è possibile scegliere da che parte schierarsi ma l'approccio al conflitto è a livello della strada anzichè top-down. Il giocatore è un giornalista freelance e in uno scenario aperto alla GTA si trova a raccogliere indizi e a compilare articoli per possibili committenti. Uno stratagemma efficace per stimolare la curiosità del giocatore ed esporlo a racconti (basati su vere testimonianze) da entrambe le parti. E' possibile avere un'efficace prospettiva storica sulle motivazioni del conflitto (decisamente in secondo piano in Peacemaker) e sulle distorsioni più o meno consapevoli dei testimoni.

Ma Global Conflict: Palestine evita di proporre una verità nel mezzo, il punto centrale è il processo di indagine e il rapporto problematico fra fatti e narrazioni in uno scenario di crisi. Alla fine di ogni missione il giocatore dovrà creare un articolo con gli appunti presi durante l'inchiesta e proporlo ad uno dei tre committenti: un giornale filoisraeliano, un giornale filopalestinese e un quotidiano internazionale più bilanciato. Inutile dire che ciascuno preferirà un taglio particolare. Evitate di parlare dei bimbi palestinesi trucidati se lavorate per il quotidiano israeliano!
Questo brillante schema di gioco offre un importante secondo livello di lettura che riguarda il giornalismo stesso. In fondo non è possibile capire un conflitto distante senza interrogarsi sulle sue modalità di rappresentazione mediatica. La sfera dei mass media è per certi versi un estensione del territorio di conflitto, un conflitto combattuto con parole, immagini e, talvolta, video games.

(thanks ruphus)

01/04/09 | | | #