FIRST PERSON TERROR

Sono passati appena un paio di mesi dagli attentati dell'undici settembre quando Jesse Petrilla, un diciottenne di Malibu, pubblica "Quest for Al-Qa'eda". Il gioco è uno sparatutto in prima persona basato sul motore di un classico del genere, Duke Nukem 3d. Il giocatore deve sterminare una serie di terroristi sosia di Bin Laden in una base di al Quaeda tappezzata di manifesti di Bin Laden. Lungo il percorso può collezionare armi più potenti fino ad arrivare al prevedibile mostro finale.

Il gioco ottiene un immediato successo nel sottobosco della rete ed emerge nei media mainstream come fenomeno di costume dell'America sotto attacco. In quei mesi l'ondata emozionale e retorica della guerra al terrorismo si riverberano nella rete attraverso una ricca produzione amatoriale: immagini photoshoppate di Bin Laden, animazioni e giochi in flash sul tema "spara al talebano" e tutta una serie di sottoprodotti intrisi di ristentimento e odio anti-islamico. Per la prima volta ci si rende conto che internet, fino allora covo di libertari, radicali e ufologi cospirazionisti può diventare sfogatoio della più oscura ed emozionale frangia dell'opinione pubblica.

Un paio di anni dopo, la fantomatica Petrilla Entertainment tenta di ripetere il successo di "Quest for Al-Qa'eda" adattandolo ai più recenti sviluppi geopolitici. Secondo la fumosa logica dell'amministrazione Bush, nel 2003 il nemico numero uno dell'occidente è Saddam Hussein. Tanto basta per giustificare "Quest for Saddam", un reimpacchettamento del predecessore, venduto a 4 dollari su internet.

Ma lo scenario è cambiato, la storia delle armi di distruzione di massa desta molte perplessità e nel frattempo è lo stesso esercito degli Stati Uniti a fornire, gratuitamente, un sofisticato sparatutto di propaganda: America's Army. "Quest for Saddam" rimane invenduto e la Petrilla Entertainment scompare senza lasciare traccia.
Un'intervista rilasciata a Salon a ridosso della pubblicazione di "Quest for Saddam" si conclude con una brillante provocazione del giornalista:
- E che dire di George W. Bush? Internazionalmente, molte persone pensano che il presidente americano sia tanto pericoloso quanto Saddam Hussein. La Petrilla creerà mai un "Quest for Bush" ? -

Passano altri tre anni prima che la profezia si avveri. Un'oscura organizzazione chiamata Global Islamic Media Front, considerata vicina ad Al-Quaida, produce un gioco intitolato "Quest for Bush - The Night of Bush Capturing". Il gioco non è altro che una modifica di "Quest for Saddam" con diversi scenari e texture rinnovate. I livelli sono popolati da feroci marines e distributori di coca cola, i muri sono tappezzati da gigantografie di Bush. Sembra poco più scherzo ma viene preso molto sul serio, i giornali strillano indignati al videogame per il reclutamento dei terroristi.

Nonostante tutto, un'operazione così apertamente speculare suscita interessanti interrogativi sul rapporto fra ideologia, videogiochi e rappresentazione dell'Altro. Basta davvero cambiare un paio di texture per cambiare il segno ad un gioco? Siamo in balia di due narrazioni contrapposte che utilizzano gli stessi mezzi e la stessa retorica manichea?

Wafaa Bilal è un artista irakeno residente negli Stati Uniti che ha preso in considerazione questi interrogativi ed ha prodotto una versione molto personale di "Quest for Bush". In "Virtual Jihadi", il giocatore veste i panni dell'artista che dopo aver appreso della morte di suo fratello decide di diventare un attentatore suicida. Le meccaniche di gioco sono nel complesso immutate ma vi è un nuovo, inedito, livello di complessità. La violenza è finalmente contestualizzata e motivata, il gioco di specchi fra rappresentazioni virtuali è infranto dalla messa in gioco dell'artista e della sua tremenda biografia (Wafaa ha concepito il gioco dopo aver appreso della morte del fratello a causa di un proiettile vagante americano).

Un'operazione del genere si è rivelata troppo sottile in un contesto in cui l'isteria "patriottica" è ancora fuori controllo. Questa settimana l'esposizione di "Virtual Jihadi" nella galleria del Rensselaer Polytechnic Institute, nello stato di New York è stata sospesa a seguito di pressioni da parte di un'organizzazione repubblicana. Gli organizzatori dell'esposizione sono stati accusati di aver creato un paradiso per i terroristi e persino l'FBI sta indagando per accertarsi che i contenuti dell'opera "non siano rilevanti per la sicurezza nazionale".

Quella del terrorismo è un'accusa grottesca per Wafaa Bilal nel suo passato irakeno è stato censurato ed imprigionato proprio per la sua opposizione al regime di Saddam Hussein. Ironicamente, l'autovittimizzazione in quanto irakeno è il tema degli ultimi surreali lavori di Bilal. L'acclamata performance "Domestic Tension" era una sorta reality-video-game. I visitatori potevano connettersi ad un sito, spiare l'artista e sparargli con un fucile a proiettili di vernice. L'ultimo progetto Dog or iraqi dà agli internauti la possibilità di scegliere se torturare un cane americano o una persona irakena (Wafaa Bilal stesso) con la famigerata tecnica del waterboarding*. Sono tempi duri per gli artisti se le più improbabili provocazioni vengono superate dall'assurdità del reale.

*Il waterboarding, una sorta di affogamento indotto utilizzato fin dai tempi dell'inquisizione, è stato recentemente considerato una tecnica di interrogazione legittima dal dipartimento di giustizia americano.

03/11/08 | | | #