Il dominio sul petrolio

02/16/2010

Domenico Quaranta, “Il dominio sul petrolio”, in L’Unità, November 30, 2008, p. 42.

“Il tuo obiettivo è di produrre profitto con ogni mezzo necessario”. Si apre così il tutorial di Oiligarchy,
ultimo gioco dell’italiana Molleindustria, fucina che produce “commento
sociale in forma di gioco” per poi iniettarlo nella rete come un virus.
Liberamente scaricabile, Oiligarchy affida al giocatore le
sorti di un’anonima multinazionale del petrolio, con sede negli Stati
Uniti, pozzi in Texas, Venezuela e Nigeria, e mire espansionistiche su
Iraq e Alaska. Il gioco si apre
nell’immediato dopoguerra e attraversa il secolo, sempre che il
giocatore sappia giostrarsi, con una buona dose di cinismo, tra
politici da oliare, campagne elettorali da finanziare, guerre e leggi
ostili, e si dimostri immune dal pericoloso “virus dell’ambientalismo”.
Come nel fortunatissimo McDonald’s Videogame (2006),
Molleindustria mette il giocatore nei panni del “cattivo”, nella
convinzione che “le strutture di potere possano essere meglio comprese
se osservate da una posizione privilegiata”. La simulazione è gestita
con abilità: un’abilità che fa apparire scelte disinvolte e antietiche
– in termini di costi ambientali e umani e di relazioni tra economia e
politica – come necessarie a un sistema (quello del libero mercato) che
ha nel profitto il suo principale obiettivo. Il gioco mira a far
riflettere sulla questione del “peak oil”, meno popolare ma altrettanto
scottante di temi come il surriscaldamento globale e la fame nel mondo.
La teoria è semplice: il “peak oil” è il momento in cui la produzione
petrolifera, raggiunto il suo culmine, comincia a declinare. Per alcuni
è già arrivato, altri lo collocano nel 2010. Le conseguenze vanno ben
oltre l’incubo quotidiano dell’aumento del prezzo della benzina, e
riguardano la fine un intero stile di vita fondato sullo sfruttamento
indiscriminato delle risorse petrolifere.

In questo scenario, l’ottimismo è, nella
migliore delle ipotesi, sinonimo di ingenuità. Eppure, uno spiraglio
rimane aperto. Se giocando a Oiligarchy malediremo coloro che quel gioco non l’hanno perso trent’anni fa, The Free Culture Game,
che l’ha preceduto di poche settimane, è un gioco in cui la sconfitta
non esiste. Qui il giocatore è invitato a difendere le idee, che
circolano liberamente, dai tentativi del mercato di fagocitarle,
mettendole sotto copyright, limitandone la circolazione e la crescita.
“L’assunto è che la produzione immateriale non possa avvenire senza
cooperazione e condivisione.” Ma anche se nessuno cerca di difenderle,
le idee saranno sempre superiori alla capacità del mercato di
appropriarsene. E forse in una di quelle c’è l’antidoto a quella fine
del mondo che sembriamo perseguire con tutte le nostre forze. Forse.