Spopolano i games che riproducono nei minimi dettagli la realtà storica e politica: dalla seconda Intifada alla cattura di Saddam. Ma anche denuncia sociale, cultura no global e pacifismo
di Alessandro Longo
Baghdad, una nuova battaglia ha lasciato sul campo soldati e civili innocenti. I giornali la riportano, tra le pagine degli esteri. Un videogioco permette di viverla in prima persona, momento per momento. È Kumawar, avanguardia di una nuova schiera di videogiochi, che soprattutto a partire da gli ultimi mesi hanno cominciato a mettere radici nei fatti e nei problemi attuali della politica. Kumawar infatti, in vendita da aprile su Internet, trasforma i principali eventi della guerra in Iraq in gioco, man mano che avvengono, con la puntualità di un notiziario. Un'opera mai tentata prima. "Avviene una nuova battaglia? La studiamo, tramite fonti giornalistiche e dai rapporti dell'esercito degli Stati Uniti, presso il quale abbiamo qualche consulente. Chiediamo riprese fotografiche satellitari dell'area del conflitto e creiamo una missione che il giocatore può affrontare, dopo averla scaricata da Internet. "Quasi una alla settimana", ha detto Keith Halper, amministratore delegato di Kuma Reality Games, il produttore di Kumawar. A scelta, si gioca nei panni dei marine, della polizia irachena o, in certi casi, dei ribelli. Si può così essere protagonisti nella cattura di un Saddam Hussein digitale similissimo a quello reale, con barba lunga e sguardo smarrito.
Tutti i dettagli, infatti, rispecchiano la realtà storica: lo scenario, le case, le armi disponibili, la posizione dei nemici e degli alleati. "Il giocatore può così acquisire una conoscenza più diretta dell'evento, capire meglio il senso delle scelte militari fatte dai marine: rischiare la vita per entrare in un covo di ribelli, dove ci sono anche civili, o uccidere tutti radendo la casa al suolo". Nonostante tutto, Kumawar "resta un videogioco, non solo un esperimento culturale; vuole essere divertente e fonte di profitti per noi". E infatti sta avendo successo, segno che il pubblico è maturo per questo esperimento: "abbiamo circa 10.000 nuovi utenti alla settimana. A giugno ci siamo trasferiti in un nuovo, più grande ufficio, a New York. E ora siamo in 50 a lavorare sulle missioni. Eravamo in 20 solo sei mesi fa. Stiamo facendo profitti e continueremo a lungo su questa strada: se ci sarà una nuova guerra, noi saremo qui per ricostruirne gli eventi". Ma non saranno i soli.
A realizzare videogiochi legati a doppio filo con l'attualità, politica e militare, sono un crescente numero di aziende. Di opposti ideali. Se Kumawar vuole rappresentare in modo oggettivo l'evento, altri mirano a promuovere l'immagine dell'esercito degli Stati Uniti che in questo periodo sta investendo milioni di dollari per produrre o finanziare videogames. Ma c'è anche un terzo filone di videogiochi politici, realizzati dall'altra parte della barricata: UnderAsh, per esempio, e il suo seguito, UnderSiege, che arriverà a Natale. Sono giochi d'azione prodotti in Siria, da Afkamedia, e ambientati in Palestina. Gli eroi sono i guerriglieri dell'Intifada, che combattono contro Israele. UnderAsh ripercorre le gesta della prima Intifada (1988-1992) e "ha venduto circa 50.000 copie, a 8 dollari l'una. UnderSiege è invece un prodotto più maturo e più commerciale, per il grande pubblico. Riflette i sentimenti del popolo arabo contro il genocidio compiuto dagli israeliani dal 1994 al 2003, che ha portato alla nascita della seconda Intifada nel 2000", dice Radwan Kasmiya, autore di entrambi i giochi. Tra i personaggi di UnderSiege c'è Ma'an, un bambino di 13 anni che ha vissuto per la maggior parte della propria vita in strada, a fuggire dai soldati e dai carri armati, e Mariam, il simbolo delle donne palestinesi, con un marito in prigione, un fratello ucciso dagli israeliani e un altro che cerca vendetta.
I videogiochi politici sono un fenomeno temporaneo, legato a questo periodo di tensioni internazionali? No, ha radici profonde e in futuro sarà anche più marcato: "i videogiochi hanno raggiunto il pubblico di massa e sono diventati più maturi, con il passare del tempo. Tanto da farsi specchio degli eventi contemporanei, alla stregua dell'arte e del cinema", spiega Henry Jenkins, direttore di programmi di ricerca, presso il Mit(Massachusetts institute of technology), sui nuovi media e i videogiochi. Sono due le ragioni di fondo: "L'evoluzione tecnologica dei videogiochi ha permesso un migliore realismo rappresentativo. Inoltre il target stesso si è evoluto. La generazione che ha scoperto i videogiochi, negli anni '80, è cresciuta ma non ha smesso di giocare. Quindi, anche per ragioni commerciali, i videogiochi devono diventare più adulti".
Solo per ragioni contingenti sono i temi del medio oriente ad andare adesso per la maggiore. E, dopo la seconda guerra in Iraq, cominciano ad affiorare in modo esplicito anche nei videogiochi bestseller, non senza polemiche. Al punto che a dicembre 2003 è stato censurato in Germania Command and Conquer: Generals, gioco di strategia militare di Electronic Arts, il più importante produttore di games del mondo. Il gioco è ambientato in Iraq; si fronteggiano l'Esercito di liberazione globale, un nucleo terrorista, e gli Stati Uniti. Figurano anche le fantomatiche "armi di distruzione di massa" e l'antrace. Generals non può essere venduto ai minorenni, poiché ritrae la guerra come unico modo per risolvere i conflitti, spiega una nota dell'ufficio del ministero tedesco degli Affari della famiglia. Secondo Electronic Arts la causa del divieto risiede nelle tensioni tra gli Stati Uniti e la Germania, che com'è noto si era opposta alla guerra in Iraq, visto che è la prima volta che in occidente un gioco viene censurato non perché contenga scene di cruda violenza ma solo per ragioni ideologiche, ha protestato
Insomma, i videogiochi hanno fatto un passo avanti verso la perdita dell'innocenza. "Le forze terroriste stanno minacciando il mondo libero…E la sola potenza in grado di fermarle è l'esercito degli Stati Uniti", si legge nella presentazione di Real War, uno dei quattro giochi che negli ultimi due anni sono stati commissionati e finanziati dalla Guarda Nazionale dell'Esercito degli Stati Uniti. A fine anno arriverà Prism: Threat Level Red, in cui la guerra contro il terrorismo è fatta con armi non convenzionali e informatiche. È arrivato a giugno, invece, un gioco sempre finanziato dall'esercito degli Stati Uniti, Full Spectrum Warrior, di azione e di tattica militare urbana. "Tra città senza nome, immaginarie", recita la descrizione del gioco. Ma i muri sono adornati da graffiti in arabo. E i nemici hanno le barbe lunghe e in testa la kefiah. Full Spectrum Warrior ha venduto 250.000 copie nelle prime due settimane dal lancio. È costato qualche milione di dollari ma ne porterà 49, secondo le previsioni, nelle tasche del produttore Thq, una delle principali aziende del settore. È un tassello di un piano più grande: dal 1999 al 2004 il Pentagono ha investito 49 milioni di dollari nell'Institute for Creative Technology (Ict), una sezione dell'Università della California del Sud. Obiettivo: creare simulazioni di guerra, commissionandole a produttori di videogiochi, per allenare soldati e ufficiali. È lo scopo di Full Spectrum Command, di cui Full Spectrum Warrior è la versione commerciale rivolta al grande pubblico. Ricostruisce nei dettagli non solo le armi, ma anche le tattiche di guerriglia urbana usate dall'esercito degli Stati Uniti.
È però America's Army il videogioco fiore all'occhiello del Pentagono, che l'ha creato per promuovere l'immagine dell'esercito e attirare nuove reclute. È gratuito, disponibile su Internet da due anni; nel 2005 arriverà anche nei negozi di tutto il mondo, per console Xbox e Playstation 2. È una simulazione di vita nell'esercito: si parte dalla gavetta; se si supera la fase di addestramento si può essere arruolati e poi combattere sul campo, insieme e contro altri utenti connessi via Internet al gioco. A luglio ne contava quattro milioni. Gestire America's Army e aggiornare il parco delle missioni costa all'esercito 2,5 milioni di dollari all'anno. "Mi è venuta l'idea vedendo mio figlio appassionato di videogiochi. Ho capito che se volevamo parlare alle nuove generazioni dovevamo usare nuovi strumenti, adatti a loro", spiega il Colonnello Casey Wardinsky, ideatore del gioco. "Vogliamo fare capire ai ragazzi che cosa è l'esercito e anche che può essere una buona strada per loro. E il videogioco è un buon canale di comunicazione. In questo caso migliore della Tv". Infatti, "America's Army si è rivelato il migliore investimento fatto dall'esercito in pubblicità. In una ricerca di quest'anno, condotta su 20.000 tra ragazzi e genitori, abbiamo scoperto che il 29 per cento di loro ha tratto informazioni utili sull'esercito proprio dal videogioco". "L'esercito ha scoperto che i videogiochi sono uno dei più potenti medium culturali della storia, poiché spingono l'utente a vivere i fatti in prima persona, nella finzione. Hanno presa soprattutto sui giovani, che sono meno interessati ai giornali", spiega Jenkins.
È per raggiungere questo pubblico che è uscito, a dicembre scorso, il primo videogioco creato per una campagna elettorale: Dean for America. Distribuito in 200.000 copie gratuite, supportava il democratico Howard Dean. L'autore è un giovane spagnolo, Gonzalo Frasca, professore nella It University danese e membro del Center of Computer Game Research. "E i repubblicani hanno subito risposto con un altro videogioco. Altri due, uno per parte politica, sono in arrivo", racconta. "È vero, c'è un crescente numero di giochi filoamericani. Del resto, la maggior parte dei videogiochi esce negli Stati Uniti. Però, a quanto vedo, ci sono sempre più anche giochi che si oppongono a questo nazionalismo imperante". Sono il quarto filone di videogiochi politici: quelli pacifisti. Restano però, al momento, in una nicchia di mercato e si servono di Internet per diffondersi. È il caso di September 12 e di Madrid (dedicato alla strage terroristica in Spagna), sviluppati dallo stesso Frasca per il proprio sito Newsgaming.com. "Periodicamente useremo i giochi per commentare fatti politici", vi si legge. Il primo è ambientato in una città mediorientale, dove si aggirano terroristi. Attaccarli con i missili significa provocare una strage, anche di civili. Attorno ai cui corpi altre persone si inginocchieranno, in lacrime, per poi vestire i panni di terroristi. Il messaggio è chiaro: la violenza crea solo altra violenza.
I siti Internet traboccano di giochi di questo tipo e da qualche mese anche l'Italia fa scuola, con Molle Industria. È un gruppo di programmatori, quasi tutti italiani, vicino nelle idee ai no global e ai movimenti dei precari. Con i videogiochi, critichiamo l'attualità", ha detto Paolo Pedercini, membro e portavoce di Molle Industria. Nel gioco Tuboflex, si immagina un mondo, nel 2010, in cui la moda del lavoro flessibile e mobile è ormai al culmine. Il protagonista è un poveraccio spostato come un pacco da una parte all'altra del pianeta, attraverso un sistema di tubature creato da un'agenzia del lavoro in affitto. Bisogna adattarsi in poco tempo alle più svariate mansioni, che sono comunque preferibili ai momenti di disoccupazione, durante i quali si è bloccati, in panciolle, su una poltrona, a guardare nervosamente l'orologio, nell'attesa che il prossimo tubo trasporti verso il nuovo lavoro. Temporaneo.
Broken Saints: filosofia, pacifismo e budget milionario
Henry Jenkins, del Mit, l'aveva predetto: "Il passo successivo saranno giochi politici e pacifisti, innovativi e al contempo prodotti dai big dell'industria e con budget milionari". Un gioco così è già in lavorazione e arriverà a Natale 2006, per personal computer e Xbox 2: Broken Saints. Pacifista, filosofico, no global, mescola azione, dialoghi e avventura; "costerà 3,5 milioni di dollari e sarà prodotto da una delle cinque più importanti industrie del videogioco americane", ha detto Brooke Burgess, canadese, ideatore della trama e della sceneggiatura di Broken Saints ed ex creatore di giochi per Electronic Arts. "Uno dei protagonisti è un ex terrorista iracheno, che ha rinunciato alle bombe ma continua a opporsi alla logica capitalistica. Con lui voglio protestare contro l'occupazione dell'Iraq, denunciando il nazionalismo americano". Scopo del gioco, lottare contro una multinazionale che ha trovato un modo per annullare il libero arbitrio degli individui, tramite la tecnologia. Broken Saints è un po' un esperimento, "poiché i videogiochi, essendo interattivi, non hanno una struttura lineare. L'utente è il protagonista; non possiamo comunicargli le nostre idee in modo diretto, ex cathedra. È quindi un difficile medium per esprimere idee complesse. Noi ci proviamo con un gioco non lineare, con diversi finali possibili, che cercherà di appassionare il giocatore con una trama da thriller".