Videogiochi, tra finzione e reinvenzione della realtà

01/20/2004

Quarant'anni fa nascevano i videogame, oggi i primi tentativi di cambiarne il senso

A quarant'anni dalla sua prima apparizione pubblica il videogioco si è imposto come colonna portante dell'industria dell'intrattenimento. La rivoluzione tecnologica di metà anni '90 ne ha poi modificato il consumo, costringendo nel giro di breve le vecchie macchinette a monetina in cantina e la dimensione pubblica delle sale-gioco alla diserzione, soppiantate da un utilizzo domestico dei videogiochi.

A 431 milioni di euro annui ammonta il giro di affari planetario stimato intorno a software toys, hardware della console e del Pc. E inevitabili sono state le ripercussioni sulla struttura narrativa dei giochi: difficoltà, premi, penitenze per risolvere una situazione di conflitto non seguono più la linearità del vecchio superamento a quadri, ma si articolano in esperienze d'immersione negli ambienti costruiti ad hoc dai programmatori. Come in "The Sims" della Maxis, in assoluto il gioco più venduto di tutti i tempi, in cui si gestisce la vita quotidiana di una famiglia in un sobborgo statunitense attraverso operazioni banali quali comprare l'arredamento, ampliare l'edificio, mangiare, rifare il letto, pulire il pavimento: si può creare così una famigliola felice o ci si può divertire a mandarla in rovina, si può ricreare la propria situazione domestica o adoperarsi per quella desiderata.

Gli esperti lanciano allarmi sugli effetti negativi che il mancato discernimento tra realtà e finzione può indurre sul comportamento umano, specialmente degli adolescenti (mettete alla guida un patito di Carmaggedon dopo tre ore di consolle per valutare l'impatto della simulazione sul reale), ma non si può negare ai videogiochi una dimensione di massa e una specificità culturale che dal mondo dei teen-ager investe un popolo di età media più avanzata, ormai la stragrande maggioranza dei consumer. E' l'aspetto di evasione a fare da richiamo: nient'altro che l'evoluzione dell'homo ludens huizinghiano che interagisce, contratta, si confronta, diventa cultura mediante il gioco, in homo digitalis del Nuovo Millennio, con tanto di miti virtuali a segnarne l'immaginario (dal mangia-pasticche Mr. Pacman all'omino-operaio Super Mario fino alla pin-uptoon Lara Croft).

I neonati computer game studies stanno producendo interessanti analisi in ambienti accademici (www. gamestudies. org), nella comunicazione fai-da-te l'online-gaming sta dando prova di semplificare la creazione di videogiochi amatoriali, aggirando i grandi circuiti distributivi e garantendo l'autonomia dello spazio del gioco mediante la rivendicazione della sua gratuità.

«Il gioco non è una zona ricreativa, bensì un luogo produttivo di relazioni e scontri: un paradigma del modo di produzione del capitalismo cognitivo», scrive Igino Domanin su Quintostato. it. Non solo pixel quindi, ma modalità di azione nell'ambito dell'entertainment: smontare e rimontare diventa a sua volta un gioco di invenzione, in grado di generare relazioni in maniera conflittuale. Comunicazione politica, knowhow informatico e sperimentazione artistica si fondono nelle proposte video-ludiche elaborate da portali quali Newsgaming o anche, dallo scorso dicembre, dal nostro La Molle Industria, un gruppo di sviluppatori, grafici e web-designer del mantovano che ha lanciato su www. molleindustria. it una serie di videogiochi politicamente impegnati. «La MolleIndustria non ama i videogiochi, per questo motivo li crea. Quando i critici della Nouvelle Vague si stufarono di fustigare sui Cahier du Cinema i mostri sacri della celluloide di allora, iniziarono a girare film coi pochi mezzi a loro disposizione. Così vorremmo fare anche noi: incanalare il sacrosanto orrore per i videogiochi attuali in un processo costruttivo e decostruttivo». Sono convinti che, come ogni altro prodotto culturale, anche il videogioco non sia immune da un'ideologia in grado di influenzare le opinioni delle persone. La loro ambizione è innovare l'universo del videogioco. «Molleindustria è teoria e pratica del conflitto molle - strisciante, virale, guerrigliero, subliminale - attraverso i videogiochi». Il nome si riferisce alla catena di montaggio che fa da cornice a tutta la società ed in cui la crescente centralità della produzione immateriale richiede forme di conflitto diverse da quelle tradizionali: ed ecco che ingranaggi, caratteri cirillici, iconografia del vecchio movimento operaio vengono presi a prestito e rielaborati con ironia per sottolinearne l'inadeguatezza. Come negli esperimenti dei net-artisti che sovvertono l'impianto strategico dell'interfaccia, La Molle Industria manipola i giochi cosiddetti "estrovertenti" sfruttando la loro interattività, per restituire a chi gioca un ruolo attivo. Come in "Queerland", il luogo delle identità negate dalla norma bisessuale dominante in cui gli abitanti assumono generi intercambiabili copulando a piacimento; o per il "Simulatore di orgasmi", una messa in scena di performance legate all'amplesso; "Papa parolibero" con cui comporre i messaggi del pontefice per la comunità cristiana con tanto di Papacontest per i migliori discorsi; "Memory reloaded", nel minor tempo possibile bisogna trovare le coppie uguali di personaggi storici, che cercano però di cambiare le carte in tavola. Ispirati al dinamico mercato del lavoro invece "Anno 2010", in cui si impersona un dipendente della multinazionale del lavoro in affitto Tuboflex, e il "TamAtipico", il lavoratore precario virtuale che lavora, si riposa e si diverte. Da gestire a piacimento come un Tamagochi.

Monia Cappuccini